Veronica non urla

Veronica fa la segretaria e pensa che, se le segretarie esistono, vuol dire che esistono persone che si sentono tali, che si sentono di obbedire a tutto, dire sempre sì, lo faccio subito, dimenticare se stesse, diventare dei robot esecutori.

Io non vorrei essere così, ma ho una gabbia fuori e invece dentro mi sento solare, con una voglia pazza di ballare, di scherzare giocare cantare con tutti e invece ho fuori una corazza d’acciaio piena di bulloni che non riesco a svitare, tutti arrugginiti, mi costringono a pensare le mie cosce debordanti il sedile della sedia, oppresse, strette tra abiti che non mi appartengono.

Veronica pensa che dopo la parentesi universitaria ha voluto tornare a sentirsi una nullità, a sentirsi nessuno. Pensa di aver voluto tornare a sparire, a non nutrirsi più di complimenti sul suo operato, se non su cose che giudica ridicole.

Il mio cervello si è zittito? Tutto si è zittito in me, non mi esce più la voce. Quando ho la pancia piena, che scoppia, mi sento perdente, ma almeno mi conosco, torno a una sensazione nota. Tutto deve essere pieno perché io finga di stare bene, la dispensa, il frigo, la casa, l’armadio, la borsa, tutto pieno. Ma è un “bene” che mi schiavizza.

Veronica si ricorda di un paio di pantaloncini che metteva a 13 anni, bianchi corti con delle figure stilizzate di donne disegnate sopra, come dei figurini per la moda. Le piacevano tantissimo, ma sua madre una volta le aveva detto che quei pantaloncini erano “indecentini”. Lo aveva detto mentre li stirava, con la testa bassa: “a tuo padre non piacciono tanto questi pantaloncini… non sono un po’ indecentini”? Lo aveva detto anche quando aveva otto anni e aveva già un po’ di seno appena accennato, allora metteva un costume a due pezzi. Ma anche quello era indecentino.Veronica pensa che la sessualizzazione alla quale è stata sottoposta da sua madre sia stata precoce. Sia stata precoce e distruttiva.

Era forse “indecentina” la mia mente? Lo ero io? Ero seduta sul muretto quella volta, avevo credo nove anni, ero felice di essere lì, sotto il sole, felice di essere… sapevo di essere. Ero lì con la sensazione di potenza e gioia pura che si può provare solo da bambini, da BAMBINI e non da quella che mi credevano Loro.
Non so se sia stata mai bambina io, ma bambina veramente, con le treccine, le gote rosse, la mano in quella forte di papà. Non lo so. Ed ero lì, con i miei calzoncini… di che colore erano? Forse bianchi, forse verdi. Ero seduta in alto, con le gambe larghe, felice di essere arrivata lassù, speravo che tutti mi guardassero e pensassero “che brava”. E in effetti qualcuno mi guardava. Loro mi guardavano. I sorrisi che prima c’erano poi d’un tratto non c’erano più e gli occhi terrorizzati di lei fissati tra le mie gambe hanno preceduto il movimento delle sue labbra che strette, quasi una fessura, dicevano: “chiudi le gambe, chiudi le gambe”! Ed eccomi giù da quel muretto, e la potenza è finita, e sono di nuovo l’indecentina che voleva portare il costume da bagno coi laccetti ai fianchi a otto anni e questo costume non sarà un pò indecentino?
E poi me lo compri lo stesso, e io felice, felice, felice, e non so cosa pensi quando mi guardi, non so che pensi del mio seno che esce fuori a otto anni, prima che io sappia perfino cos’è.
E così d’improvviso il muretto non c’è più e io sono dietro la siepe con lei che affannosamente mi fa cambiare i calzoncini dove ormai la macchia rossa è diventata troppo larga e questi altri sì che erano verdi ed ero quasi contenta perché erano uguali a quelli dei miei fratelli, anche se loro sono tutti più bassi di me, tutti più piccoli, piccoli loro lo sono davvero, io no: io sono grande. E così grande da non ricordare se sono mai stata piccola, da non accorgermi che altrettanto affannosamente lei ha cacciato i calzoncini bianchi in qualche borsa, anche se adesso non sono più bianchi e non ricordo se li ho più visti quei calzoncini.

Veronica pensa che ora sta sempre zitta, il suono della sua voce a volte le sembra quasi estraneo, quando gli altri gridano lei sente l’urlo dentro il petto, ma non esce, le scoppia dentro la cassa toracica, le dilata il petto, si schianta contro le sue ossa, ma non esce.

A volte penso che riempio tanto la pancia proprio per non farlo uscire, per schiacciarlo dentro più che posso, per sopprimerlo, farlo soffrire. Per aiutarlo a uccidermi.

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