Un viale pieno di sassi


Cosa facevo, dov’ero quando: domande ossessive, domande inutili e vuote, non degne di alcuna risposta.
Quel giorno fatidico e atroce, nel camminare dietro l’auto lunga e scintillante, mi guardavo i piedi. Sotto i piedi vedevo il selciato, tantissimi sassolini chiari che diventavano sempre più grandi. Sono convinta che se anche non avessi avuto le lenti a contatto la mia vista, solo per quel giorno, sarebbe stata perfetta e avrei visto i sassolini nitidamente tanto erano grandi, sempre più grandi e definiti. Ogni rumore era amplificato, ogni risata di chi non sapeva, insopportabile; così ho ripensato alle volte in cui sono passata indifferente, allegra o piena di pensieri accanto a un simile corteo e mi sono vergognata.
Mi sono sempre chiesta cosa succeda il giorno in cui chi ami scompare. Che direzione prendono i tuoi gesti, come celebri un momento così terribile, con quali pensieri, quali movimenti del corpo? Ho sempre pensato che in un giorno come quello tutto sarebbe stato diverso, anche il mio aspetto fisico sarebbe cambiato.
E invece no.
All’inizio è il terremoto, le viscere prendono mille direzioni, nessuna più è al suo posto; lo stomaco s’infiamma, le gambe perdono forza e non reggono più il tronco, la testa segue un netto percorso nell’irreale, nell’impossibile.
Poi, tutto si ferma.
Ti lavi.
Ti asciughi.
Ti pettini guardandoti allo specchio.
Magari mangi, detestandoti perché lo stomaco brontola e non vuole accorgersi di nulla: quindi il corpo funziona sempre nello stesso modo.
A questo punto si affollano i pensieri, inarrestabili: sensi di colpa, l’assurdo; accuse, l’assurdo; non sapevo nulla, l’assurdo; dove cazzo ero, l’assurdo.
Come rispondere a una telefonata delle 7:21 del mattino di un sabato faccia lo stesso effetto che lanciarsi da un aereo senza paracadute, prevedendo lo schianto ma non riuscendo a morire prima di paura, seppure sapendo di non meritare tanta benevolenza dalla sorte.
Infatti la sorte non ti viene in aiuto, ti lascia lì dove sei, intenta nell’inutile esercizio di contare tutti i sassolini del sentiero, sentendo i piedi sprofondarci dentro sperando che siano sabbie mobili, lasciandoti le mani incollate a quel legno come se avessero il potere di rilasciare un fluido salvifico che ribalti ogni cosa e riporti tutto alla normalità.
E invece non succede nulla lo stesso, il tempo non è più lo stesso, nulla sarà più uguale a prima ma nessuno lo sa e quel che il mondo saprà è che la vita continua, non chiedendosi come, per quanto, perché; non lasciandoti spazio, oltre il tempo prestabilito, per piangere o ricordare, dicendoti: ti serve uno specialista, se quel tempo si protrae per lui troppo a lungo.
Tutti sanno quel che è giusto per te, tranne te; tutti vogliono dire la loro su quel che provi e pensi, senza ascoltarti; tutti hanno una sentenza su tempi, luoghi e modi, tranne te. E’ facile trovare chi cambia discorso imbarazzato, pensando che distogliere l’attenzione dall’argomento sia uguale a cancellarlo, anche per te.
E’ così che si diventa soli come unica soluzione a tutto: puoi ridere ancora, lavorare ancora, mangiare ancora, lavarti ancora, stringere mani ancora. Fai tutto questo, con te da un’altra parte.

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